PERSEVERANZA
La corsa
Antonio Siri sa di esser chiamato a scrivere la storia. Quella biancoverde, per una Contrada affamata di vittorie. Quella del Palio di Legnano, di cui vuole diventare un plurivincitore, dopo il successo all’esordio nel 2010 e il bis mancato nel 2016. Contro, come in quel piovoso pomeriggio di tre anni fa, ancora Genarmoly. Gli mancò una curva, l’ultima, per alzare il nerbo e intaccare così la leggenda del cavallo che non sa perdere. Una curva che questa volta non è mancata. Amsicora vince una corsa costruita cerebralmente prima ancora che con mani e gambe. Pazienza e consapevolezza, gli ingredienti alla base del successo. Pazienza di aspettare il momento buono, l’attimo fuggente per sferrare gli attacchi decisivi. In batteria prima, in finale poi. Antonio non si lascia mai prendere dall’ansia, dalla foga di arrivare, dalla paura di vedersi sfuggire dalle mani un traguardo a lungo sognato insieme a tutta la sua Contrada. Conosce il cavallo e sa come sfruttarne i punti di forza. E quando passa, all’interno di Legnarello e Flora che battagliano alti verso le tribune, sembra di assistere al naturale corso degli eventi, tanto è bella l’azione con cui Odi et Amo conduce il suo popolo al settimo sigillo. Te la meriti Antonio, e con te se la merita chi ha creduto strenuamente in questa accoppiata.
Una corsa entusiasmante, che fin dalla mossa della prima batteria abbiamo capito sarebbe stata permeata da esasperati tatticismi. Una corsa ricca di spunti di riflessione che, come sempre, proveremo a sviluppare insieme, in modo analitico e – si spera – oggettivo.
In viride patientia
Il ritorno di Sandro Bondioli al timone della Contrada di San Domenico, al netto del carisma e del rispetto che solo un Capitano vincente è in grado di riportare in Contrada, aveva sollevato più di qualche dubbio sugli equilibri all’interno della dirigenza biancoverde, che il pessimo esito del Palio 2018 avevano reso particolarmente fragili. Un unico sacrificio, quello del suo predecessore Davide Fuschetto, per poter garantire continuità ad un progetto partito da lontano, in cui forse solo pochi -prima dell’invasione di campo – ci credevano ancora.
Ci credeva, e ci ha creduto fino in fondo all’imbrunire del 2 giugno, soprattutto Antonio Siri. Amsicora, uomo vero, sul cui volto faticano ad attecchire le tante maschere che un fantino da Palio dovrebbe imparare ad indossare per galleggiare in questo mondo, ha deciso di accettare una sfida ambiziosa là dove molti suoi colleghi avrebbero rinunciato, scegliendo di caricarsi sulle spalle la pressione di un intero popolo deluso ed impaziente.
Pazienza che invece non è mancata a tutti gli uomini forti della dirigenza biancoverde, capaci di difendere strenuamente una scelta divenuta improvvisamente impopolare e potenzialmente fallimentare. Pazienza premiata con la conquista del Crocione e con il giusto tributo della città ad una stalla costruita un passo alla volta, con Normanprice mandato in prima linea per due anni, mentre Odi et Amo (il Wallykazam delle stagioni passate) veniva lasciato crescere con calma, preservato dalle pressioni della gente e dai verdetti di sedicenti esperti. Un successo strategico per San Domenico, che della stalla di Contrada ha fatto un personale vanto – oltre che un punto fermo nell’ostinata resistenza all’invasione dei mezzosangue in Provincia – e che ha dimostrato esser possibile costruire in un triennio un soggetto in grado di vincere il Palio.
Politica paliesca
Dopo la resa, apparentemente, incondizionata del 2018, le Contrade legnanesi e i big di Piazza hanno unito le forze, limitando con la tattica un’accoppiata difficilmente arrivabile sul lato del puro agonismo. Mai come nella stagione in corso, i fantini di Provincia sono stati messi in discussione in favore dei loro colleghi jockey di professione. Più leggeri, meno costosi e soprattutto più inclini a seguire le direttive della propria Contrada. Questi i temi a favore di una rivoluzione divenuta sempre meno utopistica dopo gli splendidi risultati di Gavino Sanna e resa concreta anche a Legnano, dove al canapo si sono presentati ben tre prodotti delle regolari (oltre a Gavino, anche Mulas e Mereu).
Nel momento di maggiore difficoltà, torna però a brillare la stella di Giovanni Atzeni, reso ancor più grande nella sconfitta che nella vittoria. Domenica 2 giugno, Tittìa è stato umile come forse mai fino ad ora, e dopo aver sottovalutato le potenzialità dell’accoppiata Genarmoly-Gavino lo scorso anno, ha sacrificato le proprie ambizioni per recitare un copione che non lo avrebbe visto nei panni dell’attore protagonista. Questo, oltre alla gran corsa di Bam Bam, fatto rendere al 100% da Giovanni, ha portato il fantino sardo-tedesco ad essere considerato tra i migliori di giornata, insieme al vincitore.
Contemporaneamente, le prove opache di Simone Mereu e Silvano Mulas hanno in parte ridimensionato l’impatto dei regolaristi, che senza un motore adeguato non sono stati in grado di garantire l’accesso in finale solo con la loro qualità. Rivoluzione per ora rimandata. Vedremo quale sarà il mood il prossimo anno.
Il Palio ai tempi delle nemiche
Domenica 26 maggio 2013. Una data feticcio per gli amanti di un Palio dai sapori antichi, quando le nemiche si ricordavano di essere tali e i fantini sapevano ancora sporcarsi le mani. La prima batteria di quel pomeriggio di sei anni fa consegnò alla storia il violento corpo a corpo tra Valter Pusceddu e Andrea Coghe, continuato anche fuori dal campo e culminato nella squalifica a vita di Bighino. Meno spettacolare, ma altrettanto efficace, il lavoro fatto poco dopo da Gigi Bruschelli – praticamente senza cavallo – sull’ambizioso Siri in San Bernardino.
Allora Capitan De Pascali scelse la via più diretta per ostacolare la rivale. Quella via che oggi, invece, ha ritenuto non essere più attuale, anche se le premesse fossero ben più preoccupanti. Dall’iniziale conferma di Andrea Mari all’ingaggio di Silvano Mulas, l’annata biancoblu è stata imperniata sulla convinzione di poter competere alla pari con l’accoppiata nemica, puntando forte sul ritorno di Uprise che, nonostante le 10 primavere, avrebbe potuto benissimo stare tra i quattro finalisti. I primi 80 metri della corsa di San Martino avrebbero potuto riscrivere la storia del Palio appena concluso, lasciando a chi di dovere l’onere e l’onore di fermare i più forti, facendo tornare San Magno in finale dopo 5 anni e permettendo a Sant’Erasmo di ostacolare direttamente le ambizioni di vittoria della rivale.
In quel primo rettilineo, che San Martino percorre appaiata alla nemica, c’era spazio per qualsiasi manovra difensiva, ma probabilmente gli ordini di scuderia puntavano ad andare in finale a braccetto con La Flora. Con la rivale. Una strategia velatamente – ma non troppo – criticata anche da Gennaro Milone (Capitano vincente per San Martino nel 1992) ai microfoni di Legnanonews.
Un Palio (forse) un po’ meno per vecchi
A fianco dei grandi esperti, da Genarmoly a Bam Bam passando per il ritorno in pista di Uprise, il Palio 2019 ha visto scendere in campo Habanero, grande sorpresa dell’anno scorso (nonostante fosse già un cavallo di 6 anni), e una serie di esordienti di diversa provenienza, che per la prima volta non hanno recitato solo la parte degli “sparring partner”.
Tra questi anche il vincitore, Odi et Amo. Il soggetto di San Domenico ha finalmente fatto il suo esordio nel Palio, dopo un biennio passato a farsi le ossa tra corse in Provincia e Provaccia. Se da una parte rappresenta una novità relativa, dall’altra è il miglior testimonial dei progetti a lungo termine che le Contrade legnanesi devono iniziare a programmare se davvero vogliono difendere la loro tradizione purosangue. Lo scorso anno, il venerdì sera, nonostante un successo sfuggito per una serie di sfortunati eventi, Odi et Amo aveva dimostrato di poter fare il salto di categoria, ed è un segnale positivo per tutti averglielo visto fare davvero.
L’altra sorpresa di giornata arriva dalla stalla rossobiancorossa, che dopo il tanto lavoro su Pantera, si è presentata al Palio con Le Freak, fidandosi delle sensazioni di Carlo Sanna e della maneggevolezza del soggetto, dentro e fuori dal canapo. Dopo le sole due apparizioni in Provincia, il suo accesso alla finale, dopo che il sorteggio lo aveva inserito in una batteria di ferro, è probabilmente l’upset più importante della stagione legnanese. Un po’ di aiuto dalla fortuna, vista la caduta al canapo di Habanero e Dino Pes, ma poi una grande interpretazione della mossa e una precisione invidiabile in curva, soprattutto per un esordiente.
Meno soddisfazione dagli altri due nomi nuovi. Se la presenza di Giocoliere, tenuto sempre ai margini delle rotazioni della stalla gialloverde durante la stagione, è sembrata fin da subito una soluzione di emergenza per Gingillo e Capitan Bevilacqua, non si può dire lo stesso per O’hara, da noi indicato ad inizio anno come un possibile crack. Il cavallo di San Bernardino, forse troppo poco impegnato in Provincia quest’anno per essere un esordiente assoluto, dimostra di aver migliorato molto il suo approccio al canapo, facendosi trovare pronto e reattivo al momento dello sgancio, nonostante una mossa elaborata. In corsa però dura poco più di due giri, facendosi sorprendere dal ritorno prepotente di San Domenico. Vorremmo rivederlo l’anno prossimo, dato che il potenziale dimostrate nelle poche uscite fatte continua ad esserci. Finalmente quest’anno abbiamo un bilancio equilibrato tra volti vecchi e nuovi. Linfa vitale per alimentare le speranze di tutti in vista del 2020.
La solitudine dei numeri primi
La Flora, la grande favorita, si è presentata al canapo dando l’impressione di essere, ancora una volta, sola contro tutti. Perlomeno in finale. Forse meno in senso assoluto. Difficile infatti non vedere il filo che ha legato per tutta la stagione la stalla rossoblu a quella di San Bernardino. E altrettanto complicato è tralasciare alcune dichiarazioni della vigilia, che hanno insinuato – tutt’altro che tra le righe- un forte contributo di Sant’Erasmo nel mantenere al Cascinone l’accoppiata vincente dello scorso anno. Ragionamenti che portano, a 365 giorni di distanza, a rivalutare l’impianto strategico rossoblu nella vittoria 2018. Forse La Flora è stata meno sola di quanto tutti abbiamo pensato, e questo porta a complimentarsi ulteriormente con Capitan Parini e i suoi addetti corsa per il capolavoro di un anno fa.
Ma questa è dietrologia che poco ha a che vedere con la finale, dalla quale La Flora esce a testa altissima, nonostante l’unico obiettivo dichiarato alla vigilia fosse la vittoria. Questa volta non è bastata la classe di Genarmoly, né le qualità di un Gavino Sanna cresciuto esponenzialmente nell’ultimo anno, per sancire un back-to-back che avrebbe avuto davvero del clamoroso.
I rossoblu, polemici verso l’atteggiamento di Legnarello nel corso della finale, sembrano però dimenticare il Palio 2014, quando furono proprio loro a oltrepassare le rivalità precostituite, ostacolando piuttosto esplicitamente l’accoppiata giallorossa formata da Voglia e Deo Volente, contribuendo alla conquista della 13° di Sant’Erasmo. Tra uomini di Palio, parità e palla al centro.
L’attimo fuggente (la difficile arte del mossiere)
L’ultimo triennio è stato caratterizzato dalla presenza di Massimiliano Narduzzi sul verrocchio del Palio legnanese. Chiamato a sostituire nel 2017 un mostro sacro della Provincia italiana come Renato Bircolotti, l’operato del deus ex machina della realtà da Clodia in questi anni è stato contraddittorio. Si parte dal presupposto che un mossiere come fa, sbaglia. Non è raro, infatti, sentirlo apostrofare con epiteti di rara bassezza pure da quei contradaioli che, nell’opinione generale, stanno ricevendo un ipotetico vantaggio dal suo comportamento.
Dopo l’approccio morbido del primo anno, le critiche sono piovute per aver lasciato maturare la mossa della finale fino al calar delle tenebre. Recepito il messaggio, Narduzzi ha adottato un pugno duro, durissimo nel corso del Palio 2018. Tre mosse rapidissime e quasi del tutto prive di manovre sotterranee, tanto da far parlare di gabbie, rimpiangendo la nobile arte del fare Palio. Alla terza apparizione, quest’anno troviamo un mossiere equilibrato nella gestione della mossa, rispettoso delle sue tempistiche, ma forse poco severo nel chiamare le Contrade al canapo. Nella prima batteria concede – correttamente – un annullamento a testa ad Amsicora e Gingillo, anche se verso quest’ultimo appare sempre più benevolo. Il quarto posto è di San Domenico, ma è sempre il portacolori biancoverde a venire richiamato prima di Sant’Ambrogio, nonostante lo Zedde non provi neppure a mettersi al secondo posto. In finale invece, nonostante le critiche piovute dalla dirigenza rossoblu, è difficile chiedergli di meglio. L’epilogo della corsa ci porta a vedere una mancata tutela verso Gavino Sanna, ma senza dietrologia riteniamo fosse corretto consentire ad una Contrada (Legnarello), di non lasciare una facile partenza ingambata ad una potenziale rivale alla vittoria finale (San Domenico).
Non ci è piaciuta invece, la lentezza nello sganciare il canapo, che già il venerdì sera della Provaccia aveva compromesso in parte la corsa di Flora e San Magno, rimbalzati dalla corda ancora tesa nonostante una lettura perfetta dei tempi della mossa. Stesso problema che porta alla caduta di Sant’Erasmo la domenica, compromettendo inesorabilmente il Palio dei biancazzurri. Una problematica simile si era vista già due anni fa, con Andrea Mari quasi in ginocchio durante la mossa della finale. Disattenzione o pugno di ferro verso coloro che provano a forzare poco importa, questo è un dettaglio che, se dovesse essere confermato l’anno prossimo, Narduzzi dovrà obbligatoriamente migliorare. Nel complesso però un 6 lo merita, perché riesce ancora una volta a dare la mossa buona senza svantaggiare, oggettivamente, nessuno. In batteria come in finale.
Flusso di coscienza (pensieri in ordine sparso)
Il Palio 2019 ha lasciato altri spunti di riflessione, che proviamo a riassumere sinteticamente in poche righe, prima di darci appuntamento all’anno prossimo, almeno per quanto riguarda Legnano.
Partiamo da Sant’Erasmo. La Contrada guidata da Alessandro Clerici sembrava aver limitato le manovre della nemica durante l’inverno, allontanando Genarmoly dalla stalla biancoverde e puntando ancora forte sull’accoppiata Velluto – Habanero, ottima seconda nel 2018, ed unica ad aver dato allora l’impressione di poter reggere il ritmo del fuoriclasse di casa Pusceddu. Un piano quasi perfetto, rovinato soprattutto dalla caduta di Dino Pes in batteria (proprio Sant’Erasmo avrebbe tanto da recriminare nei confronti del mossiere) e forse dall’eccessiva fiducia nello strapotere del duo favorito. Difficile vederli sbagliare nuovamente l’anno prossimo.
Passiamo poi a commentare la brutta prestazione di Gingillo, un vero e proprio stravolgimento dell’ordine precostituito. Con la stessa naturalezza di una nevicata ad agosto, lo Zedde manca la finale, per la prima volta dal 2011, la terza complessivamente in 13 presenze. Che sarebbe stata un’annata complicata lo si poteva capire fin dalla prima uscita, con l’esperto Biliardino subito testato, a dispetto della strategia attendista che aveva riguardato tutti gli altri veterani. Poco per volta le sue quotazioni erano risalite, grazie soprattutto all’ingresso in stalla di due nuovi soggetti, Kyllachy II e Assassino. Interessante per potenziale il primo, per adattabilità il secondo. Tanto da portarci a dire che le gerarchie interne di Sant’Ambrogio non erano affatto scontate. Tra l’ultima riunione al Centro Ippico Etrea e la quattro giorni di Palio qualcosa è andato storto, e Gingillo si è trovato a ripiegare su quello che probabilmente era il quarto cavallo. In queste condizioni nemmeno lui è riuscito ad estrarre il solito coniglio dal cilindro. Fino al termine della batteria però, ha continuato a farci paura.
Chiudiamo infine con la prestazione opaca, l’ennesima, di San Bernardino. Voci di corridoio raccontano di un fantino accolto al rientro in Contrada dal calore del popolo biancorosso. Francamente fatichiamo a capirne il motivo, Simone Mereu sorprende tutti, noi per primi, facendosi trovare pronto al cadere del canapo. Poi, invece di difendere la posizione, prova per due giri a passare all’esterno Legnarello, prestando il fianco al rientro all’interno di San Domenico. Quando prova a reagire, il cavallo non risponde e all’ultima curva viene passato pure da Sant’Ambrogio. L’undicesima debacle consecutiva dovrebbe al netto di tutto portare con sé profonde riflessioni.
La Provaccia
Lasciateci il lusso di spendere qualche riga anche sulla Provaccia, che continua a rappresentare un serio banco di prova per fantini e cavalli. Ha trionfato Federico Guglielmi, per Sant’Ambrogio, con una finale perentoria. Quasi mezzo giro di pista il vantaggio fatto segnare al bandierino dall’accoppiata gialloverde. Lontani gli inseguitori, con Marco Bitti a precedere il sorprendente Giacomo Lomanto. Arreso Simone Fenu, che ha ripreso in mano dopo un giro, avvertendo un problema al posteriore del suo Nando. Ha vinto Guglielmi (che vi avevamo segnalato a gennaio), e il tributo della corsa andrebbe tutto a lui, fantino già in orbita senese, che questa affermazione potrebbe portare tra i possibili esordienti sul tufo in questo 2019. Una finale perfetta, dalla mossa al traguardo, a rimediare una batteria un po’ pasticciata, dove il calo di Alastor e Donato Calvaccio fa il paio con i meriti di Federico.
Chi balza all’occhio, ancora una volta, è invece Marco Bitti. Il giovane allievo di Carlo Sanna si dimostra concentrato alla mossa e solido durante la corsa, interpretando al meglio una cavalla rapida e precisa (Adele, lo scorso anno al Palio per San Magno), ostica quando riesce a mettere il muso davanti, ma in difficoltà se chiamata a rimontare. Avrebbe da recriminare con il mossiere per la mossa della finale, ma vincere due Memorial Favari di fila con la giubba rossobiancorossa non porta propriamente fortuna. Nota di merito anche per Giacomo Lomanto, abile a dettare i tempi della mossa nella prima batteria, e a vincerla con Pum Pum Pum Pum (non siamo impazziti, l’hanno chiamato proprio così), provato ad aprile all’Etrea da Andrea Mari. In finale, però, svanisce l’effetto sorpresa e viene limitato dai rivali.
Delusione invece per Fortnite (Legnarello) e Jacopino (San Domenico), che sul lato equino sembravano essere i favoriti, ma che si sono trovati esclusi persino dalla finale. Tra i giovani fantini spiace non vedere una conferma da parte di Andrea Sanna e Antonio Mula; il primo paga l’incertezza alla mossa (e la parata involontaria del Fenu), il secondo un cavallo ormai poco competitivo. Infine, da segnalare la buona prova di Simone Fenu, anche se Nando è apparso ancora molto impreciso lontano dalle mani di Bighino, e le potenzialità di Alastor che, dopo qualche apparizione primaverile in sordina, inizia a mostrare del potenziale. Complimenti ancora a Guglielmi e ad Argentina, il soggetto con cui ha centrato il successo, ma non distogliamo l’attenzione da Marco Bitti e Andrea Sanna per il futuro un po’ meno prossimo.
Momento dei saluti
Si chiude così la stagione 2019 per Legnano. Onore ai vincitori, ma soprattutto ai vinti. Mai come quest’anno, infatti, il confine tra le due categorie è labile. E’ stato un Palio proiettato verso il futuro ma dal sapore nostalgico, dove la strategia ha fatto da protagonista. Direzione Palio 2020, dunque, con il gap tra le contrade che si riduce sempre più, rendendo difficile lo sbilanciarsi su qualsivoglia previsione. Ci si prospetta, ancora una volta, un Palio molto aperto. Rimaniamo curiosi spettatori rispetto a quali strategie prenderanno piede e quale sarà l’epilogo di questa nuova annata che vede la sua alba.